Laparoscopia e patologie oncologiche: approccio etico?
Rivista della Fondazione Moscati
agosto 2006
A quasi vent’anni dalla prima colecistectomia laparoscopica eseguita in Francia da Paul Mouret nel 1987, nessuno si chiede più se si sia trattato di una rivoluzione etica.
L’innovazione è parte dello sviluppo della medicina e secondo la dichiarazione di Helsinki del 2000 è tale se offre benefici maggiori con rischi e costi minori confronto ai metodi migliori disponibili.
Nella storia della chirurgia, l’innovazione è stata resa possibile da pionieri che si sono assunti dei rischi, aprendo nuove strade e allargando l’orizzonte dello sviluppo scientifico.
I vantaggi a breve termine della metodica laparoscopica sono ormai ben conosciuti: riduzione del dolore post-operatorio, della durata della degenza, dell’ileo post-operatorio, del fabbisogno di analgesici e migliore aspetto cosmetico.
La colecistectomia laparoscopica, oggi trattamento gold standard della colelitiasi, che la stragrande maggioranza dei reparti chirurgici in Italia è in grado di offrire ai propri pazienti, si è affermata tra grandi polemiche e nonostante molti detrattori.
In ambito oncologico questo ancora non accade.
La chirurgia laparoscopica è eticamente accettabile nella misura in cui si approssima al trattamento ideale della malattia oncologica almeno quanto la chirurgia tradizionale “open”.
La laparoscopia costituisce una tecnica chirurgica per realizzare lo stesso tipo di intervento che si realizzerebbe in metodica open, rispettando i criteri oncologici codificati per ogni patologia.
E’ sempre vero? Nel 1995 Steven Wexner, Direttore della Divisione di Chirurgia Colorettale della Cleveland Clinic in Florida, si chiedeva sulla prestigiosa rivista Diseases of the Colon and Rectum: “Siamo onesti con i nostri pazienti nel proporre la chirurgia laparoscopica in ambito oncologico? La laparoscopia aumenta il rischio oncologico?”.
Ci sono alcuni aspetti da considerare.
La laparoscopia negli ultimi anni ha affrontato e codificato la fattibilità e la riproducibilità di un numero sempre maggiore di interventi: surrenalectomia, nefrectomia, colectomia, gastrectomia – nel rispetto dei criteri oncologici, in particolare nell’asportazione di un numero adeguato di linfonodi e nell’indennità da infiltrazione tumorale dei margini di resezione dell’organo interessato dalla neoplasia.
Le perplessità sono state numerose a causa delle difficoltà tecniche, dell’aumento dei costi e dei dubbi circa l’indicazione nell’ambito della patologia oncologica, in particolare dopo la pubblicazione su Lancet nel 1994 di un articolo che riportava il dato di un tasso di metastasi nei punti di inserimento degli accessi laparoscopici (port-site) del 21% in una serie di 14 colectomie laparoscopiche.
Successivamente diversi studi clinici, alcuni dei quali randomizzati, hanno dimostrato che il rischio di disseminazione neoplastica in sede di ferita chirurgica è pari a quello della chirurgia tradizionale.
Oggi si intravedono alcuni vantaggi ulteriori della mini-invasività, in particolare la minore immuno-depressione post-chirurgica. Ciò potrebbe rivelarsi molto utili al fine di iniziare terapie oncologiche adiuvanti (radio-chemio-terapia) il più precocemente possibile.
Il vantaggio immunologico potrebbe riflettersi anche sulla sopravvivenza per malattia tumorale. Alcuni Studi Clinici Randomizzati hanno dimostrato infatti risultati oncologici di sopravvivenza a cinque anni per il cancro del colon sovrapponibili tra le due metodiche.
Una volta chiariti i vantaggi della mini-invasività e l’assenza di rischi oncologici, occorre individuare un percorso che minimizzi il rischio, consentendo la diffusione della metodica.
Training rigoroso, centri ad alto volume e tutoraggio sono i principi cardine perché la diffusione sia etica, cioè non comporti rischi per il paziente.
Occorre acquisire manualità in skill labs e modelli animali, per poi proseguire su interventi di chirurgia laparoscopica minore ed infine di chirurgia laparoscopica maggiore.
Quanto costa questo percorso? Perché, come per la colecistectomia laparoscopica, il beneficio sia distribuito su larga scala, occorre pagare un costo economico al sistema.
Gli interventi di chirurgia laparoscopica avanzata richiedono infatti una curva di apprendimento.
Il percorso che abbiamo seguito nella nostra Unità Operativa dopo la colelitiasi, ha previsto l’approccio – nell’ordine – ad altre patologie, quali l’ernia jatale, l’ernia inguinale, le patologie del colon, della milza, del surrene, del retto, del rene, dell’esofago, dello stomaco, del pancreas.
Negli interventi di chirurgia laparoscopica in ambito oncologico è fondamentale effettuare una verifica di efficacia del risultato ottenuto, attraverso l’esecuzione di studi clinici randomizzati, ma soprattutto attraverso un confronto per la ricerca di un consenso tra professionisti.
Questo può basarsi sulla revisione dei video degli interventi chirurgici (la laparoscopia favorisce questo metodo), l’osservazione di interventi chirurgici in diretta, il controllo di qualità del rispetto dei criteri oncologici dichiarato all’inizio dell’intervento.
Molto utile è la raccolta dei dati a livello multicentrico e per questo motivo sosteniamo che la creazione di un registro di chirurgia laparoscopica oncologica su base regionale sarebbe di grande ausilio per la diffusione etica della metodica.
Ciò può essere favorito dal rapporto di collaborazione e controllo tra centri di insegnamento ad alto volume ed unità operative che desiderano accostarsi alla chirurgia laparoscopica avanzata.